Biblioteche digitali: un futuro aperto

Dopo la rivoluzione di internet, le biblioteche digitali hanno cominciato a proporsi  come sistemi per far accedere gli utenti  alla conoscenza. Precedentemente, le biblioteche digitali erano circoscritte entro  progetti informatici allestiti per conversioni mirate di libri e/o documenti in formato elettronico. Poi nel 2004 cambia tutto. Con una rete internet ormai abbastanza matura, arriva con tutta la sua potenza l’iniziativa di Google: il progetto di biblioteca digitale universaleGoogle Books per “organizzare l’informazione del mondo per renderla accessibile a tutti”. Da questo momento, si pone la questione strategica della digitalizzazione massiva delle grandi biblioteche. Nel 2005 Jean-Noël Jeanneney, presidente della Bibliothèque nationale de France, con il suo scritto Quando Google sfida l’Europa, si schiera per una biblioteca digitale europea e francese come risposta a Google Books. È sviluppato il progetto Gallica – la biblioteca digitale della Bibliothèque nationale de France–che nel giro di alcuni anni arriverà a digitalizzare alcuni milioni di documenti. Mentre, nel 2008 è inaugurata Europeana – la biblioteca digitale europea che riunisce contributi già digitalizzati da diverse istituzioni dei ventotto paesi membri dell’Unione europea in trenta lingue –destinata, secondo i progetti, a diventare la vetrina della digitalizzazione del patrimonio culturale europeo.

Tuttavia, dopo una entusiastica partenza, sulla scia di Google Books che nel 2015 annunciava il traguardo dei 25 milioni di libri scansionati, inizia, per i progetti di digitalizzazione massiva,  una fase di ripensamento. Fase che coincide  con un  rallentamento del progetto Google causato – a partire  dal 2012 – non solo dalla battaglia legale con gli editori, ma anche dalle critiche sulla scarsa qualità delle digitalizzazioni effettuate, e poi, non ultimo, da  un clima di incertezza  sul futuro del progetto stesso. Insomma, tra risultati non esaltanti, infinite controversie legali, difficoltà operative, obiettivi non chiari, nonché coperture dei costi spesso problematiche, i progetti di “mass digitization”,  entrano in una fase di stanca, evidenziata anche dalla progressiva perdita d’appeal dell’utopia  tecnologica di arrivare a realizzare la “Biblioteca Universale on line”

A questo punto, quale futuro per la digitalizzazione dei patrimoni culturali e soprattutto per le biblioteche digitali che ne dovrebbero essere uno dei principali motori? Forse, come ha spiegato Jeffrey T. Schnapp nel suo intervento seguitissimo al convegno “La Biblioteca che cresce” tenutosi a Milano nel marzo 2019, intendere la Biblioteca come archivio universale è frutto di un fraintendimento, di una narrazione sbagliata. Considerare la Biblioteca solo come un gigantesco contenitore di libri e/o di contenuti digitali è, di fatto,  un modello Ottocentesco, oggi superato. Le biblioteche digitali sono e possono essere anche altro. Primariamente, spetta loro un compito: quello di affrontare  – con creatività –  le continue innovazioni tecnologiche nell’ambito delle modalità di trasmissione delle informazioni,  continuando – nello stesso tempo – a fare quello che sin dall’antichità fanno:  esplorare, gestire, selezionare e conservare la conoscenza.

La Biblioteca Vaticana sta digitalizzando i suoi 80 mila manoscritti: una delle collezioni più importanti al mondo. Il suo, è un approccio esemplare e razionale di conservazione della conoscenza. La  scelta strategica è basata sul formato “astronomico” FITS, sviluppato alla fine degli anni ’70 e tutt’ora utilizzato dalla NASA. Formato aperto, progettato per archiviare immagini scientifiche e dati associati, con una caratteristica fondamentale, che poi è il suo motto “once FITS forever FITS”, ovvero essere leggibile e quindi utilizzabile senza limiti di tempo. Gestire meglio la conoscenza può invece significare rendere fattibili sogni come quello che accomuna tutti gli studiosi di manoscritti: rimettere  insieme (virtualmente) i codici più antichi e preziosi da secoli frammentati e dispersi in tante biblioteche del mondo. La nuova tecnologia per biblioteche digitali IIIF consente di fare questo. IIIF è, infatti, una sorta di “lingua franca” per la gestione delle immagini ad alta risoluzione on line che permette di condividere sullo schermo libri antichi, codici, mappe, documenti ecc. Infine, anche la sfida di esplorare nuove forme di conoscenza è stata raccolta: le biblioteche digitali si sono candidate per la gestione dei big data. Negli USA e nel Regno Unito diversi sistemi bibliotecari già propongono loro piattaforme per servizi di supporto e consulenza. A conferma: uno studio dell’Università del Tennessee dal quale emerge che il 40% delle biblioteche universitarie è ormai impegnato nello sviluppo di programmi per supportare i ricercatori nelle procedure gestionali di grandi quantità di dati.

Pubblicato su Nòva.tech (IlSole24Ore) 4 febbraio 2021

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