L’Archivio di Stato ora è completamente digitalizzato

L’Archivio Centrale dello Stato – che a sede a Roma nel quartiere EUR –  è dal 1861 la memoria documentaria dello Stato unitario. Nei suoi magazzini e scaffali è conservata una tale quantità di documenti che se disposti uno dopo l’altro coprirebbero circa 160 chilometri lineari. Garantire un facile accesso a questo sterminato patrimonio ha rappresentato sempre un problema complesso. Ora, però, giungono buone notizie. Lo scorso 1 marzo è stata presentata la “Teca digitale dell’Archivio Centrale dello Stato”, vale a dire la nuova piattaforma online che promette di essere la risposta concreta alle esigenze di utenti, studiosi, ricercatori che potranno così accedere alle risorse dell’Archivio da ogni angolo dell’Italia e del mondo.

La digitalizzazione di un così vasto patrimonio, iniziata da tempo, ha subito un’accelerazione dal 2022 grazie ai fondi PNRR, e al momento  risultano già disponibili sulla piattaforma  – digitalizzati con standard hOCR che rende possibile la ricerca parola per parola – 1500 inventari e 150 mila fascicoli. Mentre, per quel che riguarda le immagini, le scansioni effettuate hanno raggiunto i 2,5 milioni di riproduzioni e comprendono fotografie, documenti, disegni tecnici, manifesti, registri ecc.

La nuova “Teca digitale dell’Archivio Centrale dello Stato” recepisce le indicazioni europee – programma Horizon Europe 2021-2027 – per quel che riguarda le migliori pratiche per la digitalizzazione del patrimonio culturale. Infatti, al centro del progetto appena presentato c’è la tecnologia IIIF (International Image Interoperability Framework). Una scelta strategica open source che permette di partecipare alla  grande “community IIIF” alla quale prendono parte le più importanti biblioteche digitali del mondo e soprattutto consente di disporre di un avanzato strumento per la manipolazione delle immagini che permette la visualizzazione ad altissima definizione, la comparazione con immagini provenienti da altre biblioteche della community,  il photoediting, le annotazioni e la condivisione sul web. Inoltre, sempre grazie alla tecnologia IIIF, anche l’interazione tra la Teca digitale e gli utenti riserva maggiori potenzialità: le ricerche effettuate possono essere salvate in una “gallery” e poi utilizzate per creare delle “storie”, vale a dire percorsi visuali con i quali arricchire le proprie esperienze di ricerca con la possibilità anche di pubblicarle mediante la funzione condivisione.

Nel biennio 2023-2024 la Teca digitale continuerà ad accrescere i suoi contenuti. A cominciare dall’ampliamento del percorso tematico già esistente: quello del “made in italy”. Agli oltre 160 mila marchi già disponibili on line, si aggiungeranno altre migliaia di documenti relativi a brevetti della moda, della tecnica e del design italiano. In particolare,  sarà avviata la digitalizzazione dell’Archivio Stile Bertone che consiste in grafici, modelli, disegni tecnici di prototipi progettati e realizzati tra il 1950 e il 2013.

Nel  2024 la digitalizzazione, invece, riguarderà 1,5 milioni d’immagini provenienti dall’ACC (Allied Control Commission) cioè l’archivio della Commissione Alleata di Controllo che operò in Italia tra il 1943 e il 1947; e poi una serie di documenti altrettanto importanti: le circa 60 mila carte dell’Archivio dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), i 75 mila testi normativi del periodo 1861-1932, i registri degli internati militari italiani in Germania e i materiali appartenenti agli archivi degli architetti dell’epoca fascista Luigi Moretti e Armando Brasini.

Pubblicato su “Nòva 24 Frontiere” (Il Sole 24 ore) il 26 marzo 2023

Pubblicato in biblioteca digitale, Big Data culturali, digitalizzazione, IIIF, patrimonio culturale digitalizzato, tecnologie digitali | Contrassegnato , , , , , | Lascia un commento

Tentativi di “evoluzione” per la Biblioteca Digitale

La Biblioteca Digitale scivola sempre di più verso l’obsolescenza. Il fatto è che le sue modalità sono per lo più ferme alla teca o vetrina dove mettere in mostra o al più gestire  testi o immagini digitalizzate. Solo che – nel frattempo – l’ecosistema digitale è cambiato e ricambiato, e di conseguenza sono mutate le aspettative ed esigenze dei suoi potenziali utenti. Insomma, il vecchio “format” sembra proprio non bastare più.

Tra i tentativi più interessanti di “evoluzione” della Biblioteca Digitale c’è quello di DSpace-GLAM, vale a dire  la piattaforma digitale del gruppo 4Science, PMI innovativa con sede a Ravenna  specializzata in Data Science, Data Management e Data Repository per la Ricerca Scientifica e per i  Beni Culturali.  DSpace-GLAM recepisce  le indicazioni del Piano Nazionale di Digitalizzazione (PND) del patrimonio culturale che esorta la costruzione di nuovi paradigmi culturali e nello  specifico, riguardo le biblioteche digitali , prospetta l’idea di allargare i confini del concetto di patrimonio culturale per creare un ecosistema della cultura capace di incrementare la domanda potenziale e ampliare l’accessibilità per diversi segmenti di pubblico.

In primo luogo, la nuova Biblioteca Digitale targata 4Science, è compatibile con tutti gli standard nazionali, internazionali e linee guida RDA. Inoltre, è integrabile con i sistemi di “long term preservation” e garantisce un’adeguata esposizione per quanto riguarda la SEO (Search Engine Optimization). Infine, abbraccia strategicamente la filosofia “open source” anche rispetto alla scelta lungimirante di adottare l’ecosistema IIIF per quel che riguarda la navigazione, visualizzazione e consultazione dei documenti e immagini digitali.

Ma, il vero salto di qualità tentato dall’evolutivo DSpace-GLAM, è un altro. È quello di allargare i confini della tradizionale teca digitale introducendo il concetto di “contestualizzazione” nell’ambito della gestione e offerta di contenuti culturali digitalizzati. Vale a dire, ampliare le possibilità di ricerca degli utenti mettendo loro a disposizione nuove chiavi d’accesso per fruire / interrogare i patrimoni culturali digitalizzati.

L’innovazione fondamentale è l’implementazione di relazioni (digitali)– creando così dei contesti – tra gli oggetti digitali e altre entità quali persone, luoghi, oggetti, eventi ecc. E di conseguenza, in questo modo, determinare  l’apparire di un nuovo tipo di ecosistema: quello dei “paesaggi culturali digitali”. Ecosistema strutturato e poi visualizzato mediante  reti semantiche. La generazione dei  “paesaggi culturali digitali” che  si affiancano e si integrano con la “visione” istituzionale dei patrimoni culturali, può rappresentare un grande valore aggiunto nelle interazioni con la platea degli utenti e nel produrre, nell’ambito appunto delle biblioteche digitali,  nuova conoscenza e inedite prospettive nella valorizzazione dei beni culturali.

Come esempio, abbiamo alcune biblioteche digitali che hanno adottato la piattaforma DSpace-GLAM e che sono già in grado di creare primi abbozzi di “paesaggi culturali” intorno a personaggi storici significativamente presenti all’interno dei loro patrimoni. La Digital Library di Pavia ha creato una rete semantica intorno a Ugo Foscolo. Le collezioni digitali dalla Digital Library della Panizzi mettono, invece, in evidenza reti semantiche che attraversando la storia dell’arte hanno il loro centro intorno ai nomi di Raffaello e il Parmigianino.

Pubblicato in biblioteca digitale, digitalizzazione, IIIF, patrimonio culturale digitalizzato, tecnologie digitali | Contrassegnato , | Lascia un commento

MuseIT: una piattaforma inclusiva per l’accesso ai patrimoni culturali digitalizzati

L’accesso ai patrimoni culturali digitalizzati non è ancora uguale per tutti. La grande platea di utenti che soffrono di qualche forma di disabilità – circa un miliardo di persone in tutto il mondo – spesso è ancora penalizzata nell’accesso e nell’usabilità delle varie  piattaforme digitali.

Ora però c’è un nuovo progetto europeo – MuseIT, finanziato dal programma Horizon Europe per il periodo 2022-2025 – che si propone proprio di colmare questo gap. Si tratta di un’iniziativa dell’Università di Boras (Svezia) che si avvale di un consorzio internazionale di 9 partner dell’area UE e 3 partner associati (USA e Regno Unito). L’obiettivo  del progetto è, infatti,  la progettazione di una piattaforma multisensoriale in grado di garantire una piena accessibilità e usabilità per  tutti utenti.

Al centro della proposta innovativa di  MuseIT ci sono le tecnologie tattili. E per sviluppare al meglio le loro potenzialità, il progetto si avvale di una società leader in questo settore: la francese Actronika. Il co-fondatore della società – Vincent Hayward – ha spiegato che grazie a 30 anni di ricerca sono state sviluppate tecnologie tattili capaci di integrare perfettamente i feedback tattili nelle interfacce uomo-macchina. Infatti, Actronika ha già sperimentato l’inserimento di questo  tipo di tecnologia  in tutti i principali dispositivi digitali: smartphone, touchscreen, controller per la guida e per il gioco ecc.

Per ottenere il risultato previsto, il progetto deve, in pratica, realizzare una rappresentazione multisensoriale dei patrimoni culturali digitalizzati capace di andare oltre i sensi della vista e dell’udito. Non solo. Deve anche, contemporaneamente, intervenire su un altro piano, e cioè innovare nell’ambito della conservazione di beni culturali “atipici”, prevedendo standard di archiviazione interoperabili per i nuovi oggetti digitali multisensoriali.

Più nello specifico, la piattaforma MuseIT consentirà la creazione di espressioni alternative e modalità di rappresentazione (tra cui digitalizzazioni, traduzioni, interpretazioni e/o transmediazioni per esperienze estetiche arricchite) di un insieme di beni culturali predefiniti: oggetti, siti architettonici, beni immateriali ecc. Le rappresentazioni multisensoriali offerte dalla piattaforma terranno conto delle variazioni nella modalità percettive e nella capacità funzionali e cognitive degli utenti, ma nel contempo soddisferanno anche esigenze e preferenze diverse al fine di creare pari opportunità per tutti. Pertanto, le rappresentazioni a più livelli, inclusi segnali visivi, uditivi e tattili, saranno centrali nel progetto.

Il progetto,  intervenendo su una problematica particolarmente complessa, si inspira ai principi dell’Inclusive Design, con particolare attenzione all’accessibilità e al Design Universale. Riguardo l’accessibilità, precondizione richiesta è, ovviamente,  la garanzia che tecnologie utilizzate e relative interfacce possano essere utilizzata da persone con varie forme di disabilità. Mentre, l’adozione del  paradigma del Design Universale mira a creare le condizioni per cui l’utilizzo della piattaforma multisensoriale possa rappresentare un’esperienza tale da coinvolgere non solo la platea della disabilità, ma tutti gli utenti interessati.

Pubblicato in digitalizzazione, musei virtuali, patrimonio culturale digitalizzato, tecnologie digitali | Contrassegnato , , , , | Lascia un commento

La prima rivoluzione tecnologica: la scrittura

Nel susseguirsi delle invenzioni tecnologiche che hanno cambiato il mondo, la scrittura è l’evento storico fondamentale, ma per essere capito in pieno è necessario studiarlo  mettendolo a confronto con il mondo culturale che lo ha preceduto: quello dell’oralità. È questa la tesi centrale di Oralità e scrittura, le tecnologie della parola dell’antropologo, filosofo, esperto in problemi della comunicazione, Walter Ong. Ripubblicato recentemente dopo la prima edizione uscita nel 1982.

Il libro, malgrado i suoi oltre quarant’anni di età e il fatto che si occupi di tecnologie della comunicazione, non solo non risulta datato, ma è ancora considerato,  nell’ambito degli studi di storia della cultura e comunicazione umana,  un testo fondamentale. Questo è dovuto all’attualità della domanda che sottintende tutta la ricerca di Ong, vale a dire: quale impatto hanno avuto (e hanno) le tecnologie della comunicazione (parola, scrittura, stampa, computer) sul pensiero e sulla conoscenza degli esseri umani?

Per Ong il mondo dell’oralità, è stata una fase di esecuzioni verbali di grande bellezza e di alto valore artistico legate al senso dell’udito e al doppio filo della memoria. Ma è stato anche un mondo in cui mancava il pensiero astratto. Difatti, riprendendo il fondatore della neuropsicologia, il russo Aleksandr Romanovič Lurija, fa notare come una cultura orale non riesca a pensare in termini di figure geometriche, categorie astratte, logica formale ecc., tutte cose che derivano non semplicemente dal pensiero in sé ma dal pensiero condizionato dalla scrittura.

Ong indica un percorso evolutivo della psiche umana che solo con l’acquisizione della scrittura può sfruttare appieno le sue possibilità. Insomma, la scrittura è assolutamente necessaria per lo sviluppo della cultura: è indispensabile per la scienza, per la storia, per la filosofia, per la letteratura, per le arti e per il linguaggio stesso. È lo stesso Platone, “paradossalmente”, a dimostrarlo, sottolinea Ong, quando nel Fedro fa dire a Socrate che la scrittura è disumana poiché distrugge la memoria, indebolisce la mente…ma poi è proprio grazie alla scrittura che Platone può edificare il suo sistema filosofico basato sul pensiero astratto e le relative idee immutabili.

Il passaggio successivo, fondamentale, di Ong è quello di interpretare la scrittura come una “tecnologia”, cioè come un qualcosa di nuovo per il pensiero umano perché esterno alla semplice  condizione fisica com’era invece l’oralità basata sul senso “intimo” dell’udito. Ora, il senso   in gioco è quello “esterno” spaziale, della vista. E la scrittura con la sua “artificialità naturale” ha caratteristiche di una tecnologia perché richiede strumenti e perché attraverso questi strumenti realizza un oggetto fisico che prima non esisteva e che è distinto dalla persona che lo produce.

Ha rafforzare poi l’effetto che la scrittura ha sul pensiero e l’espressione, arriva la tecnologia della stampa che amplifica il carattere spaziale, visivo ed esterno rispetto alla fisicità umana in quanto oggettivato ancor di più dal processo tipografico. Ma, l’analisi di Ong non si ferma alla rivoluzione di Gutenberg, va avanti. E grazie anche alla collaborazione con il suo contemporaneo sociologo e studioso dei mezzi di comunicazione Marshall McLuhan, affronta anche i cambiamenti sul pensiero e conoscenza umana apportati dai nuovi media elettronici (radio, tv) e dai primi computer.

Condivide appieno il famoso slogan di McLuhan: “il medium è il messaggio”, nel senso che si trova d’accordo sul fatto che sia  proprio il mezzo (medium) con cui la lingua è comunicata (voce, scrittura, stampa, media elettronici e digitali) a determinare l’organizzazione del pensiero. E proprio le ultime riflessioni di Ong sui nuovi media e sull’avvento dell’era dei computer, lasciano trasparire  la sua convinzione nel ritenere la “parentesi di Gutenberg” – ovvero quel periodo di circa 500 anni situato tra le lunghe fasi della cultura orale e chirografica e la fase attuale dei media digitali – una sorta di “eccezione” all’interno del lunghissimo percorso del pensiero umano.  Alla quale inevitabilmente seguirà l’affermarsi di  una (nuova) oralità questa volta però supportata non solo dall’udito e dalla memoria ma soprattutto da tecnologie esterne, quelle dei media digitali, comunque anch’esse basate – come succedeva anche per l’oralità primaria –  sull’istantaneità, la ridondanza e l’ubiquità.

Pubblicato in futuro del libro, storia del libro, storia mass media | Contrassegnato , , , , , | Lascia un commento

Il PNRR per il Patrimonio Culturale Digitale Italiano

Il programma  Horizon Europe (2021-2027) per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, con un budget enorme di circa 100 miliardi, prevede, tra l’altro, per la cultura,  il finanziamento di 110 milioni di euro per la creazione, nel biennio 2023-2025,  di un Cloud collaborativo europeo per il patrimonio culturale. La soluzione del Cloud Computing è ormai la scelta strategica sia a livello comunitario che nazionale, ed è basata sostanzialmente su tre aspetti ritenuti fondamentali rispetto alle sfide del futuro: autonomia tecnologica, controllo sui dati e resilienza dei sistemi.

L’Italia, che grazie al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) può disporre di 6,68 miliardi di euro da investire nella cultura, al punto M1C3 1.1 “Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale”  può contare su un finanziamento di 500 milioni di euro per integrarsi nello spazio culturale digitale cloud europeo attraverso la realizzazione di una “piattaforma cloud per l’accesso al patrimonio culturale italiano”.

Punto fondamentale per il “matrimonio” tra Cultura e Cloud è stato l’inserimento, da parte del Consiglio D’Europa (conclusioni sul patrimonio culturale 21 maggio 2014), delle risorse digitali tra le “forme di patrimonio culturale”. Si è trattato di un cambio di prospettiva basilare che ha cambiato lo status della risorsa digitale: non più semplice replica/copia di un originale fisico, ma “originale” essa stessa. E questo cambiamento  non è più dovuto all’eventuale relazione con l’oggetto fisico di provenienza, ma alla relazione intellettuale dalla quale il bene digitale prende forma e da cui attinge nuovi significati trasmissibili.

La struttura attuatrice  che dovrà realizzare, entro il 2024, su incarico del Ministero della Cultura, la piattaforma,  è l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale – Digital Library che ha già predisposto la cornice nella quale inserire l’infrastruttura: il “Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PDN). Il patrimonio culturale italiano da trasferire in digitale è davvero un qualcosa di enorme: si tratta di un “patrimonio diffuso” attraverso all’incirca 27 mila luoghi della cultura sparsi sul territorio nazionale che, nel dettaglio, comprendono quasi 12 mila biblioteche, oltre 9500 archivi e più di 6 mila tra musei, monumenti e aree archeologiche.

Limitando, logicamente,  una prima fase di popolamento della piattaforma ai soli sistemi informativi gestiti dagli istituti del Ministero della Cultura, in questo caso si tratta di almeno  770 siti adibiti alla tutela e conservazione del patrimonio nazionale. Con tutta evidenza, già questo  rappresenta un primo step assai impegnativo. Si tratta, infatti, di procedere con la migrazione e integrazione nei nuovi sistemi cloud di oltre 37 milioni di descrizioni catalografiche associate a circa 26 milioni di immagini, per poi passare alla digitalizzazione di tutto il restante (corposo) patrimonio ancora su supporto cartaceo.  Considerando, infine,  che la Commissione Europea, attraverso i programmi Horizon, ha chiarito che i requisiti alla base delle digitalizzazioni che poi entreranno a far parte del patrimonio culturale digitale europeo, devono: restituire l’aspetto “visivo” dei singoli oggetti, collezioni o siti culturali; “costruire storie”, esperienze e contesti culturali; ma soprattutto essere risorse digitali interconnesse, ricercabili con differenti domini e linguaggi. Anche  questa prima fase – circoscritta ai soli istituti culturali statali –  si annuncia  di dimensioni “monstre”.

Insomma, in prospettiva,  il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio nazionale (PDN) di cui la piattaforma è infrastruttura fondamentale, ha l’ambizione di attuare una trasformazione digitale della cultura del paese, a partire dai seguenti obiettivi: sviluppare il potenziale delle banche dati culturali e delle collezioni digitali riconducendo la frammentazione attuale a una prospettiva che restituisca l’unitarietà e la complessità del patrimonio culturale nazionale; garantire l’uso e l’accessibilità a lungo termine delle risorse digitali adottando nuove strategie di conservazione (approccio cloud); semplificare i rapporti con cittadini e imprese, ridisegnando le procedure di settore e portando i servizi culturali in rete; facilitare la crescita di un mercato complementare dei servizi culturali aperto alle start-up innovative, finalizzato a innovare le modalità di fruizione del patrimonio culturale.

La piattaforma digitale di accesso al patrimonio culturale, nel dare il suo contributo  alla modernizzazione nella fruizione della cultura, avrà una duplice funzione: di aggregatore e di erogatore di contenuti. Si rivolgerà a tutti i soggetti proprietari e/o produttori di contenuti digitali e nello stesso tempo renderà utilizzabili le risorse digitali a tutti gli utenti finali comprese tutte quelle imprese interessate alla creazione di prodotti e servizi.

Sempre rispetto all’utilizzo della risorsa digitale, il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio nazionale (PDN), prevede anche un’altra innovazione strategicamente importante: un sistema di certificazione dell’identità digitale per i beni culturali. Finora il patrimonio culturale digitale è stato soltanto correlato al sistema dei beni culturali materiali, ma non ha coinciso con essi. Infatti, non esiste una relazione 1 a 1, cioè a un bene culturale non corrisponde una sola risorsa digitale, bensì si generano delle relazioni molti a molti. Di conseguenza il patrimonio culturale digitale non identifica l’universo dei beni culturali, ma né è piuttosto una rappresentazione/interpretazione. Ora con i finanziamenti PNRR sarà realizzato un sistema di certificazione e per la risorsa digitale accadrà quello che è un po’ accaduto con lo SPID per le persone fisiche. Il certificato d’identità digitale per i beni culturali sarà la chiave abilitante affinché un bene culturale sia riconosciuto, e quindi valorizzato come unico, in tutti i sistemi: informativi, amministrativi, culturali, piattaforme di accesso ecc.

Pubblicato in biblioteca digitale, Cloud, digitalizzazione, interoperabilità, patrimonio culturale digitalizzato, tecnologie digitali | Contrassegnato , , , , | Lascia un commento