Presso la “Libera Università Maria SS. Assunta” (LUMSA), nella sua sede romana a due passi da San Pietro, si è tenuto giovedì 21 aprile – in collaborazione con l’AIB (Associazione Italiana Biblioteche) – un incontro con il filosofo dell’informazione Luciano Floridi, docente all’Università di Oxford e membro dell’Advisory Council di Google sul diritto all’oblio. Tema: “The forgetful memory of the digital (or why we need libraries more, less”, ovvero: la memoria labile del digitale e perché abbiamo bisogno di più biblioteche, e non di meno.
Negli ultimi anni, molti osservatori di estrazione più diversa, si sono affannati a spiegarci che con l’avvento di Internet siamo ormai nell’era post-biblioteche, e che il destino di quelle rimaste è da considerarsi segnato. Ma, è proprio così? Di questo avviso non sembra Luciano Floridi che forte dei suoi studi sulla teoria dell’informazione e sull’ humanities computing, giunge a conclusioni diametralmente opposte.
Ma, andiamo con ordine. Secondo Floridi, ogni società subisce – inevitabilmente – un forte condizionamento da parte dei cosiddetti “poteri grigi”. Nella passata società industriale, questi poteri erano – ad esempio – impersonati dal blocco industriale-finanziario che esercitava il suo condizionamento attraverso il controllo sulle cose, ovvero su tutti quegli eventi e comportamenti delle persone che potevano essere manipolati mediante il suo dominio sui mezzi di produzione di beni e servizi. Questo significa che nel corso della storia più recente – diciamo a partire dal XIX secolo in poi – le varie forme assunte dalle società sono state anche, e spesso fortemente, determinate dall’azione di queste forze.
E qui, nel ragionamento proposto, entrano in gioco le biblioteche, o meglio il loro modello istituzionale: quello della “public library” anglosassone, quale presidio democratico per la trasmissione della conoscenza e la diffusione del sapere attraverso la conservazione della memoria documentale fondante la società e mediante l’accesso libero, universale e gratuito al sapere. Biblioteche, che con questo modello forte, cominciano a rappresentare – nell’ambito del sistema socio-politico dato – un fondamentale contrappeso informativo rispetto agli effetti manipolatori esercitati dai poteri grigi e palesi, di fatto uniti nel continuo tentativo di plasmare – sulla base dei propri interessi – a loro immagine la società.
Soprattutto negli ultimi decenni, questi “poteri grigi” sono radicalmente cambiati: tramontata la lunga fase del “Quarto Potere” durante il quale potenza e centralità risiedevano nella stampa e che ebbe il suo momento culminante con lo scandalo Watergate quando un presidente degli Stati Uniti fu costretto a dimettersi a causa di un’inchiesta di due giornalisti del Washington Post, con la recente rivoluzione tecnologica di Internet e del digitale, i “poteri grigi” hanno di nuovo cambiato forma. E per capire a fondo quest’ultima mutazione, dobbiamo renderci conto – come spiega Floridi – che l’informazione è fatta “sia di domande sia di risposte”.
Nella società globale dell’informazione, prima c’è stato il momento delle risposte. Vale a dire, il potere grigio controllava i mezzi di produzione delle risposte: la pubblicità. Si trattava di un sistema che inviava continue risposte a chi non aveva posto alcuna domanda. Ma, ad un certo punto ci si è resi conto che ormai le risposte non valevano quasi più nulla, non conferivano più a chi le controllava un “potere grigio”. E allora, il tiro si è spostato più in là: dal controllo sulle risposte al controllo sulle domande.
Il potere grigio emergente – secondo Floridi – ora si esercita su quali domande posso essere poste, quando e dove, come e da chi, e quali sono le risposte che possono essere ricevute.
Un esempio di potere grigio emergente, è quello delle Big Internet Company: Google – tra le prime società al mondo per investimento fondi in attività di lobbying per influenzare il governo degli Stati Uniti – che in pratica gode di un monopolio virtuale sulle ricerche on line di circa mezzo miliardo di europei, Facebook che ha superato il miliardo e mezzo di utenti ed è la più grande interfaccia nella gestione di un flusso di domande e risposte dove risiede gran parte delle informazioni sociali, Amazon che con il suo fatturato di oltre i 100 miliardi di dollari è – non a caso – il nuovo padrone del Washington Post.
Chi controlla le domande controlla le risposte. Chi controlla le risposte controlla la realtà. Siccome, una domanda senza risposta è solo un’altra definizione di incertezza, si può riassumere il tutto – secondo Floridi – sostenendo che nelle società dell’informazione attuali la morfologia del potere grigio è la morfologia dell’incertezza. Insomma, le nuove eminenze grigie che gestiscono – ovviamente per propri fini e non per fini pubblici – questa morfologia dell’incertezza, risiedono soprattutto in Silicon Valley.
Ma, sono giganti dai piedi d’argilla, e sembra che questo controllo totale lo stiano acquisendo più per demeriti altrui (i pubblici poteri) che per meriti proprio. Tant’è che tutte le questioni aperte sulla regolamentazione o almeno il contenimento di questi poteri grigi – vedi trasparenza, privacy, diritti di proprietà intellettuale, diritto all’oblio – sembrano trovare sulla loro strada continue difficoltà se non ostacoli insormontabili.
Nelle nostre società liberali, dopo le diagnosi sui poteri grigi, sarebbe urgente mettere a punto terapie sotto forma di controlli da parte di legittimi poteri socio-giuridici e politici. E qui, ritorna il sottotitolo dell’incontro: “we need libraries more, less”, cioè abbiamo bisogno di più biblioteche, non di meno. Questo perché, le biblioteche che sono depositi di risposte – nella loro funzione di contrappesi culturali e democratici rispetto ai mutamenti attuali – possono e devono trasformarsi anche in produttrici di domande. Riproponendosi in questo modo quali punti di riferimento nella costruzione della realtà culturale e sociale.
Però, a questo punto, da parte non solo di Floridi ma anche nostra, sorge – legittimo – un dubbio: i continui e pesanti tagli nei finanziamenti che hanno via via soffocato i sistemi bibliotecari dei paesi occidentali, sono stati dovuti a imprescindibili esigenze di bilancio oppure invece hanno in qualche modo risposto all’esigenza di depotenziare fino al silenzio voci indipendenti e pubbliche?
Nella tanto decantata società dell’informazione tecnologicamente avanzata nella quale viviamo, sembra un nonsense che agenzie dell’informazione e conoscenza perfettamente a loro agio nel nuovo ecosistema digitale vengano messe da parte, e lasciate in uno stato di mera sopravvivenza. Rinunciando alle biblioteche si fa a meno di un contributo importante nel controllo pubblico della morfologia dell’incertezza che rischia d’essere sempre di più monopolio dei poteri grigi.