Storie di biblioteche: la Biblioteca mancata, quando a un progetto di “biblioteca pubblica” si preferì un parcheggio

Mentre la modernizzazione delle biblioteche italiane è ancora al di là da venire – siamo nel gennaio del 1979 e si è solo cominciato a discutere a Roma, nel corso della Conferenza nazionale delle biblioteche italiane, sull’opportunità di realizzare un servizio bibliotecario nazionale[1]– il sindaco di un capoluogo di provincia –Latina – decide di costruire al centro della sua città una moderna biblioteca pubblica rivolgendosi per il progetto ad uno dei più importanti e influenti architetti del XX secolo: James Stirling[2]. Il sindaco Antonio Corona[3], consigliato da un suo collaboratore appassionato studente di architettura, lo sceglie con convinzione, anche perché persuaso  dalle   performance in ambito culturale dell’architetto: il progetto della Biblioteca di storia dell’Università di Cambridge, ma anche i  grandi musei tedeschi di Düsseldorf, Colonia, Stoccarda.

L’idea di Corona è puntare– come si direbbe oggi –  su un archistar e su un progetto urbanistico-culturale di livello internazionale per risvegliare la città e spingerla verso la modernità. E non c’è dubbio che Latina ne abbia bisogno. Sul finire degli anni ’70 è una città socialmente e culturalmente depressa, alla continua ricerca di una sua identità, e in questo senso anche penalizzata dalla troppa vicinanza a Roma. Il sindaco fa notare che mancano opere pubbliche importanti, edifici significativi, monumenti,  e quel poco che c’è risale al periodo della fondazione, cioè a soli cinquant’anni addietro. E nella seduta del Consiglio comunale del 9 ottobre 1979, presenta la “proposta per la ristrutturazione della zona ex Ospedale civile per una nuova Biblioteca Comunale”, e spiega all’assemblea che “la scelta di James Stirling quale progettista della ristrutturazione dell’isolato del vecchio ospedale e della nuova Biblioteca comunale è dettata non soltanto perché si tratta di una grandissima personalità a livello mondiale…ma soprattutto per la qualità delle sue opere…che mostrano una grande capacità di interpretare l’attuale aspirazione ad un ambiente nuovo e per un nuovo modo di vivere…[4]. La scommessa è che la creazione di un “sistema – biblioteca” d’eccellenza, una sorta di polo culturale attrattore per  la città, possa dare il via sia a una riqualificazione urbanistica che a una rinascita identitaria beneficio di tutta la comunità.

Stirling capisce subito che nella realizzazione del progetto, oltre a esigenze funzionali, sono in ballo anche bisogni simbolici. E queste necessità ben si sposano con il suo tipo di architettura sempre al passo con le innovazioni tecnologiche, ma anche molto attenta a interpretare i “contesti” con linguaggio “neoclassico”. In un intervista rilasciata in quegli anni alla rivista di architettura Domus, Stirling afferma:“…nelle città è essenziale avere dei punti di riferimento – una città senza monumenti sarebbe nessun luogo – per me il monumentalismo non ha nulla a che vedere con le dimensioni o lo stile, ma dipende interamente dalla presenza  – così una sedia può essere monumentale, io ne ho molte[5]. Insomma: simbolismo e funzionalismo possono coesistere,  andare a braccetto.

Si fa così strada l’idea che la nuova biblioteca pubblica debba avere caratteristiche “monumentali”. La soluzione di riqualificare le città con edifici simbolici e monumentali è una strategia antica e la sua realizzazione comporta – se si desiderano risultati coronati dal successo – interventi di architettura di qualità.  Scelta particolarmente opportuna nel caso di Latina: città giovane, priva di un tessuto storico e con pochi luoghi simbolici. Si tratterebbe, in un certo senso, del tentativo di riannodare un filo spezzato con il giovane passato architettonico della città razionalista degli anni ’30 e ’40. La nuova Biblioteca pubblica “monumentale” ubicata nel cuore della città diventerebbe un nuovo punto di riferimento in grado di segnare una sorta di continuità con i riferimenti culturali del passato.

Sempre il 9 ottobre 1979, il Consiglio comunale approva la delibera per l’avvio del progetto. E’ individuato il sito dove sarà costruita la Biblioteca: è  un lotto triangolare adiacente alla centralissima Piazza del Popolo. Ma già a partire dalla discussione in aula del 9 ottobre, si fanno vivi gli oppositori. Le critiche politiche sono subito indirizzate alle caratteristiche del progetto accusato di  megalomania e mentalità faraonica.  Il sindaco ribatte di voler realizzare strutture per rendere Latina più vivibile e nello stesso tempo di voler attuare iniziative culturali importanti che possano dare una nuova dimensione alla città e non solo a livello nazionale ma anche a livello europeo. Non solo. Il progetto è anche preso di mira dai professionisti locali. È contestata la scelta di operare nel centro storico per episodi isolati senza un vero e proprio piano urbanistico. Ma, è subito evidente  la pretestuosità dell’attacco. In realtà,  si tratta di forte insofferenza rispetto alla chiamata di un famoso architetto internazionale, scelta giudicata tutta  a discapito delle professionalità locali.

Tuttavia, dopo una partenza  a razzo del progetto, arriva il primo – lungo – stop. Le carte rimangono tre anni nei cassetti dell’architetto Stirling. Cosa è successo? Due cose: il sindaco Corona non viene rieletto e la nuova amministrazione malgrado la delibera approvata,  blocca tutto. Per fortuna nel 1983 la situazione si capovolge di nuovo: Corona si riprende lo scranno di sindaco e con lui subito riparte il progetto della nuova Biblioteca pubblica. Nel dicembre 1983 è stipulata la Convenzione tra il Comune di Latina e lo studio Stirling nella quale è stabilito che il progetto sia ultimato entro maggio 1984. Infatti, puntualmente, nel mese indicato, è presentato il progetto di massima mediante relazione tecnica, 13 tavole in scala 1:200 e un plastico in scala 1:500. Nello stesso tempo, gli oppositori tornano all’attacco: questa volta a mezzo stampa. Nelle cronache di Latina del Messaggero, l’amministrazione comunale è attaccata per non aver provveduto a un piano urbanistico per il centro in grado di “preparare” l’inserimento della  nuova Biblioteca:”“…la nuova biblioteca va a collocarsi in un centro già intasato, sicché si deve evitare un nuovo affollamento, creando anzi soluzioni che riducano quello attuale…”[6], ma è anche attaccata per la sua politica di interventi culturali nel territorio ritenuta senza progettualità,  “confusa”:“…l’edificio destinato alla Biblioteca si caratterizza all’interno per una serie di ambienti e servizi che ne fanno l’effettiva “casa della cultura” e che crea fin d’ora il problema di come diversificare l’uso della “Casa della cultura e Teatro comunale” che è in costruzione in Via Umberto I”[7].

Tuttavia, il sindaco tira dritto e vengono definite le modalità per il progetto esecutivo finalizzate all’appalto per la realizzazione dell’edificio. Lo studio Stirling comunica anche i calcoli, ricavati dagli standard internazionali dell’IFLA[8], che permettono di  stabilire dimensioni e servizi della nuova Biblioteca. Punto di partenza è la stima  della dello sviluppo della popolazione di Latina, fatta dall’amministrazione,  corrispondente a  circa 150 mila abitanti. Di conseguenza, in base al  rapporto tra libri/abitanti di 1:1:, la Biblioteca avrà un patrimonio di circa 150 mila volumi. Mentre, rispetto ai posti per studio/lettura –sempre sulla base della raccomandazioni IFLA che per città superiori a 100 mila abitanti indicano almeno 28 metri e 3/4 posti ogni 1000 abitanti – i posti complessivi disponibili in tutte le sale della Biblioteca saranno circa 500/600.

Finalmente, nel maggio 1985, si tiene a Latina la cerimonia per la presentazione ufficiale della nuova Biblioteca pubblica. Il progetto definitivo è illustrato personalmente da Stirling che ne descrive  tutti i particolari aiutandosi con un plastico in scala 1:200.È un occasione particolare, infatti dopo circa vent’anni dalla sua ultima biblioteca – quella dell’Università di Cambridge – Stirling torna a progettarne una e lo fa, mettendo insieme due temi architettonici a lui molto cari: quello della “loggia”, già utilizzato nella Biblioteca di Cambridge, e quello del “cilindro” ispirato dalla famosa Biblioteca Asplund di Stoccolma. Ne viene fuori una costruzione longitudinale porticata dal cui tetto a capanna fuoriescono due cilindri lapidei con grandi lucernai. Un edificio bello, rappresentativo, “monumentale”. Un edificio da inserire in un contesto. E nel  caso di Latina, non si tratta di inserirlo nello spazio di un campus universitario inglese. Tutt’altro. Ma, si tratta di una sfida che non solo non spaventa Stirling, ma che lo stimola ulteriormente: “…una delle prime cose che un architetto deve fare è costruire edifici che siano legati con l’ambiente circostante[9]”.

Lo spazio a disposizione – il lotto triangolare al centro della città – è rivisitato da Stirling con l’obiettivo di una sua completa ridefinizione. Nell’area sono presenti tre vecchi edifici: un vecchio ospedale dismesso, una ex-autorimessa, e una piccola palazzina. Nella nuova sistemazione il lotto graviterà, ovviamente, sull’edificio biblioteca situato alla base del triangolo, il vecchio ospedale sarà demolito, mentre ex-autorimessa e la piccola palazzina saranno recuperate e trasformate, la prima in una galleria per mostre temporanee e il secondo in un piccolo museo di storia locale. Il tutto circondato e immerso in  un giardino che costituirà, nel suo insieme, una piazza verde tra due vie di scorrimento molto trafficate e che rappresenterà uno dei punti focali della futura organizzazione urbana del centro città.

La forma architettonica della nuova Biblioteca pubblica, nel suo proporsi rispetto al contesto come una sorta di “Basilica della cultura”, include 5.5oo m2di superficie, 77 metri di estensione rettangolare, assicurando capacità per circa 200 mila volumi e accoglienza per almeno 500 utenti. Numeri  importanti,  valorizzati dalla un’ingegnosa strutturazione interna basata sulle cavità dei due enormi cilindri e su un’articolazione in tre piani più un piano interrato. La biblioteca circolante – ovvero il prestito e i cataloghi – è situata nel cilindro di sinistra: organizzata a pianta cruciforme con  superfici delle pareti  occupate da librerie. Al centro, una struttura particolare a  forma di ziggurat a due livelli con altre librerie e posti di lettura. Nel cilindro di destra è invece collocata la biblioteca di consultazione:  un ampio spazio con circa 165 postazioni per lettura e  studio. In posizione baricentrica rispetto ai due cilindri, così da dare agli utenti la possibilità di un facile accesso, è posta la sala audiovisivi con una dotazione di 6 fonoriproduttori, minischermi video e lettori per microfilm.

Al piano terreno è predisposto un  servizio molto importante: la biblioteca per i ragazzi dai 6 ai 14 anni. Una proposta didattico-culturale che potenzia l’offerta – già importante – della Biblioteca pubblica. Si struttura in un ampia sala adibita per l’insegnamento e per la lettura con tavoli bassi e tondi dove potranno trovare posto circa 85 piccoli utenti. Sono previste anche 6 cabine attrezzate per esercizi e giochi per abituare i giovani all’utilizzo dei computer.

E’ un aspetto, quest’ultimo, che merita una riflessione. In un progetto di biblioteca pubblica vecchio ormai di quarant’anni, è possibile cogliere un’attenzione davvero lungimirante per delle tecnologie, come quelle informatiche, ancora, a quei tempi, agli albori. È degno d’attenzione il fatto che Stirling consideri l’informatica non come semplice orpello per dare appeal al  progetto, ma  come infrastruttura sostanziale rispetto al funzionamento presente e futuro del sistema biblioteca: non solo è previsto che in vari punti della struttura saranno ubicati  terminali collegati a un calcolatore centrale per consentire l’identificazione e la localizzazione rapida di qualsiasi libro, ma è anche previsto che la rete locale della biblioteca possa essere collegata a una futura rete nazionale (in pratica, l’anticipazione di SBN!) con l’obiettivo di potenziare ulteriormente i servizi informativi offerti.

Tuttavia, malgrado il progetto esecutivo già pronto e pagato, e nonostante la conclusione delle procedure amministrative con l’ottenimento di tutte le autorizzazioni necessarie compreso il parere favorevole della Regione Lazio, le forze che si oppongo al progetto non demordono.  E mentre anche l’autorevole rivista di architettura Casabella dà ulteriore visibilità al progetto dedicandogli un approfondito articolo intitolato “Progetto per un biblioteca pubblica a Latina”, nel quale conclude che: “…ripercorrendo la storia dell’architettura e soprattutto la sua architettura, Stirling riesce così, ancora una volta, a consegnarci un’opera che ha il coraggio di raccontare ciò che rappresenta, restituendo all’architettura un ruolo e una complessità…[10], incredibilmente, la situazione precipita di nuovo.

Tra le prime avvisaglie che il vento sta cambiando, c’è il riproporsi della questione dell’ex-autorimessa. Nella ridefinizione del lotto voluta da Stirling, il vecchio garage è destinato a diventare la nuova galleria per le mostre temporanee. Tutto questo grazie all’esproprio dell’immobile e al suo cambio di destinazione d’uso. Le procedure sono portate a termine secondo le regole,  compreso il parere favorevole della commissione urbanistica. Tuttavia, i vecchi proprietari dell’immobile continuano a opporsi, e cosa preoccupante, la loro azione trova sponde politiche all’interno del Consiglio comunale.

Ma, l’evento determinante è rappresentato dalle elezioni del giugno 1985[11]. La consultazione elettorale decreta ancora una volta la vittoria del partito del Sindaco Corona già da tempo al governo della città: la Democrazia Cristiana.  Tuttavia, inaspettatamente, si forma una coalizione interna allo stesso partito, contraria a rinnovare il mandato al sindaco in carica. Si tratta di un vero e proprio “ribaltone”. È un’amara sorpresa, ma come spiega una cronista politica sul Giornale Pontino del 19 giugno 1985, una sorpresa fino a un certo punto:“…siamo in presenza di una chiara manovra di potere condotta con incredibile disinvoltura da gruppi che senza tener conto dei risultati e della qualità di lavoro svolta dal partito e Latina, si uniscono oggi solo in funzione della difesa di interessi personali e di corrente, contro una linea di rigore e di crescita della città.[12]

Con il nuovo sindaco[13], date tali premesse, non vengono deluse le peggiori aspettative, e di conseguenza sono annullati  gli impegni culturali, sociali, economici e di riqualificazione urbanistica presi dal precedente primo cittadino. Il progetto della nuova biblioteca pubblica diventa un faldone da relegare – per sempre – negli archivi comunali.  La rimozione è attuata con due mosse esiziali: prima escludendo il progetto della nuova biblioteca dalle previsioni di bilancio, poi intervenendo in maniera definitiva– “tombale” -dal punto di vista urbanistico, vale a dire cambiando la destinazione del lotto triangolare. Da quel momento, lo spicchio  di città da cui – secondo la visione del sindaco Corona – sarebbe dovuta partire una rinascita culturale e identitaria della comunità, rimane in un limbo: sospeso. Ma, non per molto, nel 1988 arriva la decisione definitiva dell’amministrazione comunale sulla sua  “riqualificazione”: area adibita a parcheggio di auto e pullman. Un’occasione  di riscatto culturale incredibilmente sprecata che – beffardamente – il triangolo d’asfalto intasato di veicoli è ancora lì a ricordare.

[1]La Conferenza nazionale delle biblioteche italiane si tiene dal 22 al 24 gennaio 1979 a Roma.

[2]Sir James Stirling (Glasgow 1926 – Londra 1992) è stato un architetto britannico.

[3]Antonio Corona, appartenente alla Democrazia Cristiana, sindaco della città di Latina dal 1972 al 1980 e dal 1983 al 1985.

[4]Estratti dal verbale, da:  Claudio Greco (a cura), Biblioteca pubblica e giardini a Latina di James Stirling, Officina Edizioni, 1989, p. 113

[5]Alessandro Mendini, Colloquio con James Stirling, “Domus”,  n. 651 (1984) p. 1-15

[6]Il Messaggero, 24 maggio 1984

[7] Il Messaggero, 24 maggio 1984

[8]https://www.ifla.org/publications/ifla-publications-series

[9]Alessandro Mendini, Colloquio con James Stirling, “Domus”,  n. 651 (1984) p. 1-15

[10]Mirko Zardini, Progetto per una biblioteca pubblica a Latina, “Casabella Rivista internazionale di architettura”, n.507 (1984), p. 4-13

[11]https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_amministrative_italiane_del_1985#Latina

[12]Rita Calicchia, Il Giornale Pontino, 19 giugno 1985.

[13]Delio Redi, appartenente alla Democrazia Cristiana,  sindaco di Latina dal 1985 al 1992.

Fabio Di Giammarco

Pubblicato su “Biblioteche oggi”  luglio-agosto 2021

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Il futuro della Biblioteca: confusione “orizzontale”

Nell’articolo sul “Social reading e nuova mediazione”  di Simona Paolantoni, pubblicato su AIB studi (gennaio/aprile 2021), l’autrice si chiede, o meglio chiede, rivolgendosi al mondo delle piattaforme social reading,  come dovrà essere la Biblioteca del futuro. È una domanda che dalla rivoluzione digitale in poi, cioè nel corso degli ultimi decenni, è stata posta un’infinità di volte con esiti quasi sempre approssimativi.

 Tuttavia, è una domanda che ha una sua legittimità, visto che la Biblioteca, come tutte le istituzioni (culturali), è destinata inevitabilmente a cambiare nel tempo. E negli ultimi anni con l’accelerare della  rivoluzione digitale i cambiamenti sono  diventati sempre più incalzanti, veloci e pervasivi.

Prima di proiettarsi sulla Biblioteca nel futuro, l’articolo citato, a partire dall’attuale orizzonte multimediale, afferma in modo lapidario: la cultura è cambiata, o meglio si è trasformata in una cosa diversa rispetto al modello dominante: in un servizio. Infatti, non viene più percepita, come in passato, come un patrimonio fisico-intellettuale da possedere e tramandare, ma come un’opzione virtuale da utilizzare al bisogno. Tutto ciò sarebbe la conseguenza del fatto che la Rete e il web hanno eroso e trasformato il vecchio concetto di sapere, cioè quello elitario basato sulla distinzione tra cultura alta e cultura bassa. Da qui una nuova cultura non più verticale, ma orizzontale basata su un ecosistema digitale inclusivo entro il quale tutti – lettori, produttori di contenuti, mediatori, utenti – si possono muovere e partecipare – senza più alcuna gerarchia – impersonando ora un ruolo ora un altro.

In pratica, assistiamo al trionfo della pura disintermediazione.  Ma, è proprio così? La Rete, è vero,  ha sicuramente ridotto a mal partito i corpi intermedi – tra cui le nostre vecchie biblioteche – tuttavia, il vuoto creatosi è già in fase di riempimento: sono, infatti, in arrivo nuove forme di mediazione. Nel caso delle biblioteche, dalla nuova cultura “orizzontale” sta emergendo il fenomeno degli influencer, o meglio, nel nostro caso, i book-influencer.

 Si tratta di un tipo di mediazione accettata dal popolo social perché sostanzialmente paritaria.  Niente a che fare con il vecchio rapporto elitario dall’alto al basso. Il segreto del book-influencer è quello di essere visti  dai lettori-utenti, a differenza del severo bibliotecario tradizionale, come una specie di coetanei con il quale condividere gusti e aspettative. Sembra il concretizzarsi delle grandi utopie della Rete: inclusione, libertà e parità. Peccato che poi si debba  constatare che la disintermediazione ha anche un’altra faccia, cioè quella di una Rete ormai controllata da un’altra categoria di “nuovi mediatori”, assai più potenti dei pur volenterosi influencer: gli invisibili algoritmi, dal funzionamento tutt’ora piuttosto oscuro.

In ogni caso, rimane l’interesse per la domanda cruciale posta al popolo delle piattaforme: come sarà (come dovrà essere) la Biblioteca del futuro? Gli utenti della  piattaforma di social reading di maggior successo –  Wattpad – non hanno dubbi: la Biblioteca del futuro dovrà essere proprio come Wattpad, vale a dire una spazio virtuale dove tutti potranno leggere infinite storie. Storie che per il fatto di essere scritte “da ragazzi per ragazzi” avranno il “bollino” della cultura orizzontale, cioè si collocheranno “fuori dal canone”, nel senso che  gli autori-lettori potranno godere di una tale libertà che permetterà loro di esprimere in pieno tutta la loro creatività.

Un aspetto curioso dell’indagine è che l’idea più precisa su come dovrà essere la biblioteca del futuro sia venuta proprio da coloro che non sono mai entrati in una vera biblioteca. Facendo ricorso a tutto l’immaginario fantasy disponibile, la loro descrizione della  biblioteca del futuro non ha fatto altro che utilizzare immagini di biblioteca derivanti dalla letteratura e dal cinema a cominciare dalla saga di Harry Potter. Un po’ poco per iniziare una proficua collaborazione tra un’istituzione culturale tradizionalmente strutturata come la biblioteca e le nuove istanze comunitarie e identitarie provenienti dalle nuove “culture orizzontali”.

Comunque, l’indagine nell’universo del social reading sul futuro della Biblioteca a delle conclusioni finali giunge: i giovani suggeriscono di rendere le biblioteche più “social”. In  primo luogo attraverso una maggiore interazione sul web. E poi chiedono una svolta sui  servizi digitali: a cominciare dall’implementazione di apps per i servizi del prestito. Infine, sperano in biblioteche che si trasformino sempre più in “centri culturali” con l’inserimento di nuovi spazi per altre forme di cultura come, ad esempio, musica e teatro. Forse è un po’ poco per cominciare a progettare la Biblioteca del futuro…ma questo, al momento, è.

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Biblioteche digitali: un futuro aperto

Dopo la rivoluzione di internet, le biblioteche digitali hanno cominciato a proporsi  come sistemi per far accedere gli utenti  alla conoscenza. Precedentemente, le biblioteche digitali erano circoscritte entro  progetti informatici allestiti per conversioni mirate di libri e/o documenti in formato elettronico. Poi nel 2004 cambia tutto. Con una rete internet ormai abbastanza matura, arriva con tutta la sua potenza l’iniziativa di Google: il progetto di biblioteca digitale universaleGoogle Books per “organizzare l’informazione del mondo per renderla accessibile a tutti”. Da questo momento, si pone la questione strategica della digitalizzazione massiva delle grandi biblioteche. Nel 2005 Jean-Noël Jeanneney, presidente della Bibliothèque nationale de France, con il suo scritto Quando Google sfida l’Europa, si schiera per una biblioteca digitale europea e francese come risposta a Google Books. È sviluppato il progetto Gallica – la biblioteca digitale della Bibliothèque nationale de France–che nel giro di alcuni anni arriverà a digitalizzare alcuni milioni di documenti. Mentre, nel 2008 è inaugurata Europeana – la biblioteca digitale europea che riunisce contributi già digitalizzati da diverse istituzioni dei ventotto paesi membri dell’Unione europea in trenta lingue –destinata, secondo i progetti, a diventare la vetrina della digitalizzazione del patrimonio culturale europeo.

Tuttavia, dopo una entusiastica partenza, sulla scia di Google Books che nel 2015 annunciava il traguardo dei 25 milioni di libri scansionati, inizia, per i progetti di digitalizzazione massiva,  una fase di ripensamento. Fase che coincide  con un  rallentamento del progetto Google causato – a partire  dal 2012 – non solo dalla battaglia legale con gli editori, ma anche dalle critiche sulla scarsa qualità delle digitalizzazioni effettuate, e poi, non ultimo, da  un clima di incertezza  sul futuro del progetto stesso. Insomma, tra risultati non esaltanti, infinite controversie legali, difficoltà operative, obiettivi non chiari, nonché coperture dei costi spesso problematiche, i progetti di “mass digitization”,  entrano in una fase di stanca, evidenziata anche dalla progressiva perdita d’appeal dell’utopia  tecnologica di arrivare a realizzare la “Biblioteca Universale on line”

A questo punto, quale futuro per la digitalizzazione dei patrimoni culturali e soprattutto per le biblioteche digitali che ne dovrebbero essere uno dei principali motori? Forse, come ha spiegato Jeffrey T. Schnapp nel suo intervento seguitissimo al convegno “La Biblioteca che cresce” tenutosi a Milano nel marzo 2019, intendere la Biblioteca come archivio universale è frutto di un fraintendimento, di una narrazione sbagliata. Considerare la Biblioteca solo come un gigantesco contenitore di libri e/o di contenuti digitali è, di fatto,  un modello Ottocentesco, oggi superato. Le biblioteche digitali sono e possono essere anche altro. Primariamente, spetta loro un compito: quello di affrontare  – con creatività –  le continue innovazioni tecnologiche nell’ambito delle modalità di trasmissione delle informazioni,  continuando – nello stesso tempo – a fare quello che sin dall’antichità fanno:  esplorare, gestire, selezionare e conservare la conoscenza.

La Biblioteca Vaticana sta digitalizzando i suoi 80 mila manoscritti: una delle collezioni più importanti al mondo. Il suo, è un approccio esemplare e razionale di conservazione della conoscenza. La  scelta strategica è basata sul formato “astronomico” FITS, sviluppato alla fine degli anni ’70 e tutt’ora utilizzato dalla NASA. Formato aperto, progettato per archiviare immagini scientifiche e dati associati, con una caratteristica fondamentale, che poi è il suo motto “once FITS forever FITS”, ovvero essere leggibile e quindi utilizzabile senza limiti di tempo. Gestire meglio la conoscenza può invece significare rendere fattibili sogni come quello che accomuna tutti gli studiosi di manoscritti: rimettere  insieme (virtualmente) i codici più antichi e preziosi da secoli frammentati e dispersi in tante biblioteche del mondo. La nuova tecnologia per biblioteche digitali IIIF consente di fare questo. IIIF è, infatti, una sorta di “lingua franca” per la gestione delle immagini ad alta risoluzione on line che permette di condividere sullo schermo libri antichi, codici, mappe, documenti ecc. Infine, anche la sfida di esplorare nuove forme di conoscenza è stata raccolta: le biblioteche digitali si sono candidate per la gestione dei big data. Negli USA e nel Regno Unito diversi sistemi bibliotecari già propongono loro piattaforme per servizi di supporto e consulenza. A conferma: uno studio dell’Università del Tennessee dal quale emerge che il 40% delle biblioteche universitarie è ormai impegnato nello sviluppo di programmi per supportare i ricercatori nelle procedure gestionali di grandi quantità di dati.

Pubblicato su Nòva.tech (IlSole24Ore) 4 febbraio 2021

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Illuminated Dante Project

Nell’anno in cui si celebra il VII centenario della morte di Dante Alighieri, è in fase di completamento un progetto ambizioso e affascinante: “Illuminated Dante Project”, vale a dire la realizzazione del più grande archivio digitale on line di immagini ad alta risoluzione tratte da circa 280 manoscritti miniati della Commedia di Dante. Si tratta di un corpus unico databile tra il XIV e il XVI e proveniente da biblioteche, musei, archivi pubblici e privati nazionali e internazionali. Il progetto nasce in seno al gruppo di ricerca di Filologia italiana dell’Università di Napoli “Federico II” e si è sviluppato grazie  all’accordo con il Ministero dei Beni e delle attività culturali e alla collaborazione delle più importanti biblioteche italiane e straniere: Biblioteca Apostolica Vaticana, BibliothèqueNationale de France, Oxford Bodleian Library, British Library.

“Illuminated Dante Project” colma un’esigenza molto sentita nel mondo degli studi danteschi, ovvero la realizzazione del primo censimento della pratica antica di tradurre in immagini la Commedia. Un lavoro sistematico, che avvalendosi  anche di un database codicologico e iconografico –  può contribuirea ricostruire la storia di come la Commedia è stata recepita visto che le immagini miniate non solo testimoniano il successo dell’opera nel tempo e nello spazio, ma anche quelle infinite modalità di lettura e utilizzazione che di essa si sono date nel corso dei secoli.

Un’altra  eccellenza del progetto è rappresentata dalla parte iconografica del database IDP che permette agli schedatori dei manoscritti di partire dalla superficie del piano illustrativo e poi arrivare alla profondità fino all’esame delle singole immagini. In pratica, si offre in questo modo  la possibilità di descrivere il “progetto decorativo” inteso nella sua globalità e poi di seguito predisporre i file delle stesse immagini alla condivisione con altri sistemi.

Per raggiungere in pieno questi obiettivi, il progetto si è affidato alla nuova tecnologia IIIF (International Image Interoperability Framework). Una piattaforma internazionale aperta basata su protocolli di interoperabilità, tecnologie web based e una grande community di riferimento che consente sia la riproduzione on line delle immagini dei manoscritti ad alta definizione con copyright per tutta la comunità web IIIF che la piena condivisione di quello che è si candita come il  più grande archivio digitale di codici danteschi on line per la gioia di studiosi, ricercatori,  specialisti, ma anche di semplici  lettori appassionati.

Pubblicato su Nòva.tech (IlSole24Ore) 4 febbraio 2021

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La crisi sanitaria globale covid-19 è anche una crisi informativa globale

Il JASIST (Journal of Association for Information Science and Technology) ha pubblicato nel marzo scorso un paper di un gruppo di ricerca della University of Texas di Austin, nel quale si sostiene che ogni crisi sanitaria globale, come l’attuale pandemia di covid-19, determina anche una grande crisi informativa. La ricerca ritiene che anche questo tipo di crisi va trattata come un’emergenza e che pertanto siano necessari di ulteriori studi, nuove strategie e azioni concrete.

La prima sfida è rappresentata dalla distorsione del sistema informativo. Un’emergenza globale come quella del covid-19 è in grado di produrre una tale sovrabbondanza caotica e  incontrollata di informazioni che lo stesso OMS nel tentativo di definirla è dovuto ricorrere al neologismo ”infodemia”,  ossia un fenomeno caratterizzato da una smisurata circolazione pandemica di  informazioni non vagliate con accuratezza, spesso contraddittorie tra loro, capaci di fornire  solo un quadro  confuso e ansiogeno alla grande platea dei destinatari.

Va tenuto in considerazione, suggeriscono i ricercatori, che la crisi attuale è un fenomeno completamente nuovo, molto diverso, dal punto di vista dell’informazione, rispetto all’ultima importante pandemia verificatasi. In quel caso, correva l’anno 2002, e sempre dalla Cina, in quel caso dalla provincia delle Guangdong, si diffuse la SARS. Un evento inserito in un contesto tecnologico lontanissimo da nostro, neanche paragonabile con l’attuale ecosistema digitale globale che è subito diventato  assordante  cassa di risonanza planetaria della crisi covid-19.

Secondo il paper, sono i social media i vettori dell’attuale infodemia,  i quali grazie alla loro velocità di diffusione possono facilmente trasformarsi in potentissimi strumenti di disinformazione di massa. Nello stesso tempo, si fa notare,  la stessa rivoluzione digitale può anche giocare a nostro favore mettendo  a  disposizione alcuni  potenti anticorpi: ad esempio le applicazioni di machine learnig e di intelligenza artificiale, tecnologie in grado di individuare ed etichettare automaticamente testi e immagini generati dalla disinformazione per poi bloccarli.

Non solo. È anche evidenziata l’importanza della diffusione, condivisione e integrazione delle informazioni a prescindere dalla provenienza dei dati. Le piattaforme e le infrastrutture di emissione delle informazioni, nel corso di crisi sanitarie, dovrebbero essere coordinate e/o supportate  da professionisti dell’informazione e da quelle istituzioni che hanno come scopo l’organizzazione pubblica dell’informazione: associazioni professionali, organizzazione sanitarie nazionali, biblioteche pubbliche ecc. In questo modo si renderebbe possibile la creazione di  una circolazione virtuosa delle informazioni tra medici, pazienti, ospedali, associazioni di volontari, famiglie ecc.

Questo approccio dovrebbe (soprattutto) valere anche per le big platform social come Whatsapp, Facebook, WeChat, Twitter ecc. Il paper suggerisce che l’impegno degli scienziati dell’informazione deve essere quello di progettare ambienti condivisi che nel caso di crisi sanitarie globali consentano di rendere interoperabili – per estrapolazioni finalizzate alla difesa della salute pubblica – gli enormi dataset delle big platform. A conferma dell’importanza dell’estrapolazione e utilizzo predittivo dei big data, si cita una ricerca retrospettiva riguardante una pandemia di influenza suina H1N1 verificatasi nel 2009 negli USA, nella quale si mostra come l’estrazione dei dati dalle piattaforme social media avrebbe consentito di prevedere con due settimane di anticipo l’esplosione della pandemia.

Le ondate di disinformazione prodotte da eventi eccezionali come crisi sanitarie globali, richiedono che le scienze dell’informazioni indichino anche azioni concrete da intraprendere. La ricerca della University of Texas, ne mette a fuoco almeno due: alfabetizzazione eHealth e digital divide.

Nelle emergenze pandemiche – come abbiamo visto in Cina a Wuhan e come stiamo vedendo con i lockdown nelle città di tutto il mondo – i cellulari spesso diventano il mezzo più utile sia per ricevere informazioni essenziali che per il contenimento dell’epidemia mediante apps per il tracciamento dei contatti. L’azione di alfabetizzazione – in questo caso mHealth, ossia basata su smartphone o tablet – è pensata per migliorare le abilità delle persone ad accedere, valutare e utilizzare le informazioni sanitarie digitali nel caso di assistenza per interventi medici da remoto e più in generale per essere in grado di prendere decisioni consapevoli.

Tuttavia, quando la gran parte delle informazioni essenziali vengono divulgate digitalmente, nasce il problema delle persone più vulnerabili, cioè di quelle che si trovano dalla parte sbagliata del digital divide: anziani e fasce sociali più deboli della popolazione. Questo è un altro campo d’azione fondamentale per gli scienziati dell’informazione, e in questo caso si tratta di offrire la collaborazione alle agenzie governative, alle associazioni di volontariato che operano sui territori, alle comunità in genere, per individuare i metodi giusti per raggiungere anche i gruppi più vulnerabili  garantendo loro l’accessibilità  e l’usabililità attraverso soluzioni low-tech.

Riaffermata – anche attraverso le varie soluzioni indicate – la necessità di divulgare, in caso di crisi sanitarie globali – informazione personali. Il paper non si sottrae ai delicati aspetti etici che comportano queste situazioni e in conclusione esorta tutti coloro che si occupano di scienze dell’informazione  nel dare il loro contributo – nei limiti del possibile – per la protezione della privacy di tutte le persone coinvolte come pazienti, come pazienti sospetti o come contatti diretti tracciati nel corso dell’emergenza sanitaria.

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