La DPLA, la Biblioteca Digitale Pubblica Americana, inaugurata recentemente, rappresenta un punto di svolta nello sviluppo di un nuovo modello di biblioteca digitale a forte integrazione con le tecnologie di Rete.
DPLA è un network basato sull’interoperabilità degli standard, su i linked data e su un codice open source. L’obiettivo non è creare la grande biblioteca universale ma rendere universali i contenuti digitali – ovunque si trovino – prima aggregandoli e poi mettendoli a disposizione tramite un unico punto d’accesso in rete (come già fa Europeana con la quale c’è un progetto di collaborazione).
L’infrastruttura tecnologia innovativa è basata sul concetto di “hub”, cioè sull’idea di una rete capillare fatta da tanti “centri di contenuti” che convergono in un catalogo cumulativo. La DPLA, infatti, si articola in “content hubs”, vale a dire biblioteche e istituzioni culturali digitali (circa 40) che già forniscono almeno 2 milioni di documenti digitali costituenti l’archivio di partenza; e in “service hubs” ovvero aggregatori statali o regionali (biblioteche, archivi, musei ecc.) che hanno invece il compito di far crescere DPLA organizzando le risorse territoriali attraverso l’erogazione di servizi digitali standardizzati per l’implementazione di metadati, aggregazione di dati, servizi di storage ecc., nonché mediante programmi di sensibilizzazione delle comunità rispetto ai contenuti digitali di rilevanza locale.
Il modello DPLA aspira ha diventare la piattaforma informativa per lo studio, ricerca ecc. a disposizione dei cittadini americani, scalzando Google e anche Wikipedia. Suo punto di forza: l’autorevolezza – bibliografica – delle fonti rispetto alla genericità e imprecisione dei suoi competitor. Un modello che si candida – vedi collaborazione con Europeana – ad andare oltre i confini USA per l’universalizzazione dell’offerta, nel segno “della rete come biblioteca”.