Viaggio tra i tesori delle biblioteche italiane

L’Italia possiede un immenso patrimonio culturale. La penisola è una sorta di enorme museo a cielo aperto stracarico  di beni storici, artistici, archeologici,  corrispondente – si dice – a circa il 40% del patrimonio culturale mondiale. Un museo che per le sue esagerate dimensioni risulta labirintico:  fatto di infinite sale e illimitati percorsi molti dei quali a volte trascurati o addirittura dimenticati. Tra gli “obliati” ci sono spesso le biblioteche. Pezzo storico e culturalmente pregiato del patrimonio. Non solo per la loro presenza capillare sul territorio – sono circa 16 mila – ma soprattutto per la ricchezza quantitativa dei beni posseduti: complessivamente circa 110 milioni di libri e 500 mila manoscritti. E se poi ci si volge all’aspetto qualitativo, il “peso culturale” delle biblioteche cresce ulteriormente: tesori unici manoscritti e a stampa conservati in gioielli architettonici rinascimentali e seicenteschi. Insomma, entrare nello nostre più preziose biblioteche significa immergersi in quella  grande cultura e grande arte che hanno reso celebre nel mondo il “Bel paese”.

L’atto di nascita della lingua italiana può rappresentare un degno inizio per il nostro excursus nei “templi della memoria”. Nella Biblioteca Capitolare di Verona – sorta nel V secolo e considerata la più antica biblioteca d’Europa – è custodita una pergamena dell’VIII secolo con a margine vergato:  “se pareva boues alba et albo uersorio teneba et negro semen seminaba” che in italiano attuale può essere tradotto: spingeva davanti a sé i buoi (cioè le due dita della mano) arava i bianchi prati (cioè le pagine del manoscritto bianche prima di essere scritte) teneva un bianco aratro (la penna d’oca) e seminava la negra semente (vale a dire l’inchiostro). Facile indovinare l’allusione allo scrivano all’inizio del suo lavoro. Si tratta del famoso “indovinello veronese”considerato prima traccia esistente dell’italiano volgare. Un documento eccezionale insieme a tanti altri che la Capitolare conserva per la gioia dei tanti eruditi che nei secoli si sono avvicendati nelle sue sale, tra questi anche Dante Alighieri che vi tenne una conferenza nel lontano 1320.

Rimanendo in Veneto, ma spostandoci a Venezia, troviamo la biblioteca che sognò Petrarca: la Biblioteca di San Marco. L’autore del Canzoniere donò nel 1362 i suoi libri alla Repubblica di Venezia perché andassero a formare una grande biblioteca aperta agli studiosi e agli amanti della cultura.  Ma solo nel 1468,  con la donazione dell’imponente collezione di libri greci e latini del cardinale Bessarione iniziò il percorso che porterà Venezia ad avere la sua grande biblioteca. L’architetto e scultore Jacopo Sansovino porterà a termine l’opera a metà del ‘500 edificando il Palazzo della Libreria in Piazza San Marco. Da quel momento la Biblioteca Marciana diverrà uno degli emblemi dei fasti della Serenissima. Oggi, acquisita dallo Stato,  con il suo milione di libri, ma soprattutto con le sue opere uniche provenienti da Bisanzio, con le collezioni di mappe ed atlanti – tra cui la “mappa del mondo di Fra Mauro (1459) –  e con la raccolta di testi antichi sulla storia di Venezia è riconosciuta come una delle più importanti biblioteche italiane.

Ovviamente, nell’incredibile fioritura – nei secoli XV e XVI – di biblioteche di grande prestigio, contribuiscono anche i signori rinascimentali.  Un esempio viene da Cesena. Dove, intorno alla metà del ‘400, i frati francescani – oberati dall’eccessivo numero di libri accumulati – chiedono a Domenico Malatesta di costruire una grande biblioteca. Nel 1454,  a perpetua gloria dei signori di Cesena, sotto l’emblema di famiglia “Elephas Indus culices non timet” (L’elefante indiano non teme le zanzare),  apre la nuova biblioteca. È il modello della basilica ad ispirare l’architetto Matteo Nuti nel realizzare il grande salone librario: pianta a tre navate lunga oltre 45 m e larga 10. Oggi la Biblioteca Malatestiana consente un incredibile viaggio indietro nel tempo. La sua unicità è proprio quella d’essere giunta fino a noi perfettamente conservata nell’edificio, negli arredi e nella dotazione libraria. Per questa ragione l’Unesco l’ha  inserita nel patrimonio dell’umanità della cultura (registro della memoria del mondo) in quanto esempio unico di biblioteca umanistica.

Tuttavia, il canone assoluto di biblioteca rinascimentale è raggiunto grazie al più grande genio artistico: Michelangelo. Nel 1523 Giulio de Medici (Papa Clemente VII) incarica l’artista fiorentino di progettare una grande biblioteca presso la basilica di San Lorenzo a Firenze. Nasce la Biblioteca Laurenziana. Il salone librario michelangiolesco si presenta ancor oggi intatto. Spartito in due file di scranni lignei – realizzati seguendo fedelmente i disegni di Michelangelo – detti “plutei” con ancora i rispettivi codici incatenati per evitare sottrazioni. Il soffitto, in legno, è magnificamente intagliato sempre sulla base di precedenti disegni dell’artista.  Mentre il pavimento intarsiato riflette motivi ornamentali e immagini simboliche, presenti nel soffitto, allusive alla dinastia medicea. La Laurenziana deve la sua fama non solo all’arte di Michelangelo, ma anche al fatto di conservare una delle principali raccolte al mondo di manoscritti.

Oltre al Rinascimento ci sono comunque  altri fattori che imprimono – nei secoli d’oro della nostra storia – nuove energie agli instancabili edificatori di biblioteche, tra questi l’invenzione della stampa e la Controriforma. Da questi mutamenti matura sia il concetto di biblioteca pubblica che il  desiderio di riscossa della cultura cattolica. Presupposti da cui prende le mosse l’arcivescovo di Milano Federigo Borromeo.  La sua idea   è creare una grande biblioteca nello stesso tempo per l’evangelizzazione mediante lo studio della cultura e per erigere un baluardo contro l’avanzante Riforma protestante.  Progetto visionario ricordato anche dal  Manzoni nei Promessi Sposi: “questa biblioteca ambrosiana che Federigo ideò con sì animosa lautezza, ed eresse, con tanto dispendio, dà fondamenti”. La riscossa culturale parte nel 1603 con la fabbrica della biblioteca che alla fine risultò nel grande Salone Federiciano di 26 metri con copertura a botte capace d’ospitare circa 50 mila volumi. La Biblioteca Ambrosiana a distanza di più di quattrocento anni  continua a svolgere nella Milano odierna quella funzione di centro culturale voluta da Federigo Borromeo. Un’ istituzione che insieme ad un preziosissimo patrimonio fatto di manoscritti, tra cui il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci e autografi di Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Machiavelli, Galileo e Manzoni, può offrire  ai visitatori anche una pinacoteca ricca di capolavori di grandissimi artisti quali Botticelli, Caravaggio e Tiziano e un tratto dell’antico foro romano di Milano rinvenuto durante l’ultimo restauro della biblioteca.

Anche a Roma riscossa cattolica e arte si intrecciano dando vita a molteplici istituzioni culturali, tra queste la Biblioteca Vallicelliana, strettamente legata – nella sua prima fase – alla figura di Filippo Neri e in seguito a quella dell’architetto barocco Francesco Borromini, in quegli anni a Roma grande rivale del Bernini. Nel 1620, durante i festeggiamenti per l’elezioni di Paolo V, un razzo provoca la distruzione dell’originario nucleo della biblioteca situato presso la Congregazione dell’Oratorio di Filippo Neri. La realizzazione della nuova sede – nel complesso monumentale dell’Oratorio dei Filippini – viene affidata al Borromini che dirige i lavori dal 1637 al 1652. I circa 130 mila volumi che oggi sono posseduti dalla biblioteca,  di natura prevalentemente storico-ecclesiastica e teologica, possono essere consultati nella grande sala rettangolare borrominiana illuminata da sedici finestre con tutt’intorno una scaffalatura lignea del XVII secolo divisa in due ordini di palchetti da un ballatoio sostenuto da colonne lignee.

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